Sezione Antologia

Poesia

Marino Cassini

www.marinocassini.it

Nato a Isolabona, Imperia, il 29 maggio 1931

Vive la prima infanzia parte presso la nonna materna e poi in Francia dove i genitori, dopo aver lavorato negli hotel della Costa Azzurra, aprono nel 1936 ad Antibes un piccolo negozio di alimentari. Nel 1938, a causa del conflitto italo-francese, la famiglia è costretta a ritornare in Italia….

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Il genere poetico prende nome dalla città irlandese di Limerick dove una guarnigione di soldati, in attesa di essere inviata a combattere in Francia sotto le insegne di Luigi XIV, passava il tempo ad inventare brevi poesie di cinque versi dallo schema fisso (AABBA), in cui l’ultimo verso riprendeva il contenuto leggermente variato del primo. Il limerick è un breve pensiero demenziale, un non-senso, un fatterello privo di logica, scritto per puro divertimento.. Trovò nel poeta inglese Edward Lear il suo esponente principale e la sua Bibbia nel Libro dei non sense da lui scritto.


Giuseppina, sartina molto esperta,
quando cuciva stava sempre all’erta
Temeva di far fondere il motore
infilando qualche ago nel trattore
La Giuseppina, la sartina esperta.


Una bella puledra di Corfù
amava i porno parti e il ragù.
Beveva coca-cola a secchi a fiumi
e con un soffio ti spegneva i lumi,
la puledrina dell’isola Corfù.


Un chirurgo eminente di Toirano
tagliò la zampa ad un peloso ragno
e la sostituì con un compasso
che lo facea inciampar ad ogni passo
quel matematico chirurgo di Toirano.


A Chiavari viveva un bel negretto
capace di lanciar dei do di petto.
Venivano dai laghi le zanzare,
per starsene estasiate ad ascoltare,
i do di petto di quel bel negretto.


Un filosofo seduto in cima al mondo
riteneva che il creato fosse tondo.
E, muto, lo fissava con lo sguardo,
pensando ad una palla di biliardo.
quel filosofo assiso in cima al mondo.


A quel sommo inventore di Leonardo
piaceva molto il burro e poco il lardo.
Amava spalmar la Lisa con coltello
per rendere il suo viso assai più bello,
quell’estroso pittor ch’era Leonardo.


Un valente dentista di Pechino
si mise a trapanare col violino
i denti cariati dei delfini.
Pensava d’imitare Paganini,
quel megalomane dentista di Pechino.

La vispa Teresa

avea tra l’erbetta

a volo sorpresa

gentil farfalletta.

E tutta giuliva,

stringendola viva,

gridava a distesa:

“L’ho presa! L’ho presa!”

A lei supplicando,

l’afflitta gridò:

“Vivendo, volando

che male ti fo’?

Tu sì mi fai male,

stringendomi l’ale.

Deh, lasciami: anch’io

son figlia di Dio.”

Confusa, pentita,

Teresa arrossì:

dischiuse le dita

e quella fuggì.

Fin qui la storiella

che tutti ben sanno,

in cui si favella

del grande malanno

che alla farfalla

produsse un bel danno.

Ma fu  proprio un danno?

Qualcun dice sì;

io dico di no.

Per me fu un inganno

quel che la farfalla

inventò lì per lì,

perché la furbetta,

fuggendo, pensava

e già meditava

sottile vendetta.

Or devi sapere

perché la storiella,

per quanto assai bella,

non termina qui.

Chi scrisse ha taciuto

(non so la ragione)

su quel ch’è accaduto,

sul tiro birbone

che la farfalletta,

sentitasi offesa,

giocò per vendetta

alla vispa Teresa.

L’insetto vivace,

qua e là sfarfallando,

con fare pugnace

su un melo volò.

E lì, sogghignando,

con tono mordace,

a Teresa parlò:

“O povera illusa,

io fessa t’ho fatto.

Trovato ho la scusa,

usato ho il ricatto.

Tu, sciocca Teresa,

credendo al mio male,

mollasti la presa,

lasciandomi l’ale.

Per questo, babbea,

con grande mia pacchia,

sul fil di Borea

ti fo’ una pernacchia”.

E la farfalletta

per nulla gentile,

con la sua trombetta

sottile,  sottile,

le fece in gran fretta

un bel verso scurrile.

Udendo Teresa

quel suono incivile,

divenne cattiva,

l’assalse la bile.

E allor, con veemenza,

d’un ramo s’armò

e, usando violenza

sul melo piombò.

La vispa Teresa

pel grave dispetto

sconvolta ed offesa

cercava l’insetto

menando giù botte

con forza e vigor.

Cadevan le mele,

volavan le foglie

e in quella babele

accorse la moglie

con Olimpio il fattor.

Vedendo lo scempio

del povero melo,

sul volto d’Olimpio

discese un gran velo

di rabbia e dolor.

La moglie adirata,

la vispa Teresa

con una pedata

lontana cacciò.

E la farfalletta

in pieno centrata

da una manata

ben lungi atterrò.

Poi tutta pentita,

sbollita la rabbia,

la moglie d’Olimpio

raccolse le mele

in mezzo alla sabbia.

Guardando accorata

le mele acciaccate

die’ una spallata.

“Oh, alla buon’ora,”

pensò la signora, –

se pur ammaccate,

mi servono ancora

per far marmellate.”

E con un cestino

ricolmo di mele,

si mise in cammino

e a casa tornò.

Se vuoi far la marmellata,

adirar fai la Teresa

con una bella spernacchiata.

 

 

Già si è parlato in precedenza dei limerick, cioè
delle brevi poesie composte di nonsense, nati in
Inghilterra e rese celebri da Edward Lear. Al normale
limerick si è voluto ‘intrecciare’ un particolare gioco
inventato da un poeta del VI secolo a.C., Laso di
Ermione, il quale si divertiva a scrivere poemi evitando
nel testo di usare determinate lettere dell’alfabeto. In
due suoi componimenti ’Inno a Demetra e I Centauri non
usò mai la lettera S

Nei limerick che seguono non vengono utilizzate le
vocali A nel primo, E nel secondo e così via.

IL CUOCO PROVETTO NON USA LA A

Giorgio, cuoco di Corfù

consultò il suo menù

per scoprire il miglior modo

d’imbottire un uovo sodo,

quel bel cuoco di Corfù.

UN LUCCIO VIOLENTO…DISTRUGGE LA A

Un luccio un po’ violento di Belluno

colpì un moscerino con un pugno.

In pieno lo centrò, proprio in un occhio,

mettendo il moscerino giù in ginocchio,

quel prepotente luccio di Belluno

RIGOLETTO UBRIACO …S’É BEVUTO LA E

– Cortigiani, vil razza dannata –

sbraitava con faccia adirata,

agitando il gran gobbo il suo pugno.

– Sono pronto a tirarlo sul grugno

a chi snobba il buon vino d’annata. –

L’ODALISCA… HA INGOIATO LA E

Un’odalisca nata a Malibu

mangiava solo riso con bambù.

Usava bastoncini colorati,

dipinti da pittori raffinati,

la formosa odalisca a Malibu.

FOLLETTO E FATA… SENZA I


Un folletto del bosco fatato

cavalcava un bruco ammalato.

Una fata tentò d’arrestarlo

ma fu morsa sul naso da un tarlo,

quella fata del bosco fatato.

IL PORCO…NEMICO DELLA I

Un grasso e roseo porco padovano

voleva fare un bagno nello stagno.

Tra un tuffo, un crawl e una nuotata a rana

bevve del rum e morse una banana,

quel grassottello porco padovano.

LA REGINA… CHE SNOBBA LA O

Atalanta, regina d’Atene

ammirava due buffe balene,

che danzavan felici nel mare

e la gente le stava a guardare,

le balene e Atalanta d’Atene.

IL BARBIERE NON AMA LA O

Un abile barbiere milanese

fece la barba a un cane pechinese.

Guaì di rabbia e d’ira l’animale,

mentre ficcava i peli in un ditale

per pagare il barbiere milanese.

LA VISPA TERESA… CERCAVA LA U

La vispa Teresa, sdraiata nel prato,

leccava felice l’enorme gelato.

Fissava estasiata Gigetto il bagnino

che dava la caccia all’orso Martino,

in cerca di miele tra l’erba del prato.

IL FACHIRO… CHE SCARTA LA U

Il decano dei fachiri di Bengodi

mangiava solo spilli e molti chiodi.

– Occorre metter ferro dentro il corpo

se no in breve tempo sarai morto! –

diceva il gran fachiro di Bengodi.

CONSIGLI DI UN AMICO

“Buongiorno, Carlo, ti trovo un po’ ammosciato”.

“Non dirmi! Sto covando l’influenza

e dal dottor mi reco di filato

non posso del vaccin restare senza

“Non farlo, Carlo mio, te lo sconsiglio;

lo fece giorni fa il mio fornaio

ed ora in casa sua c’è gran scompiglio.

È morto all’improvviso, Dio, che guaio”!

“Che dici? Il vaccin non è letale”.

“Questo lo pensi tu e pensi male.

Uscito dallo studio del dottore

finì sotto le ruote d’un trattore

che lo mandò diritto al creatore”.

MIRACOLO

Spiegava con passione Don Giuliani

la parabola dei pesci e dei pani

a un gruppo di fanciulli assai vivaci,

ma molto attenti e alquanto perspicaci.

“Si dice che a un raduno di Gesù

partecipasse molta, troppa gente

e per sfamarli tutti nel menù

v’era assai poco, direi quasi niente.

Sol cinque pesci e in più cinque panini.

Per alleviar la fame eran  pochini.

Ma il buon Gesù un poco ci pensò

e pani e pesci lui moltiplicò.

Per cui da cinque ch’erano Gesù

Ne fece cinquemila e forse più.

E fu così che il quell’occasione

Gesù riuscì a sfamar cinque persone”.

S’accorse dell’errore Don Giuliani

ma anche un bimbo ch’era stato attento,

per cui, alzando in alto ambo le mani,

fece un giusto e logico commento.

“Scusi, mi dice, caro Don Giuliani,

il miracolo, in fondo, dove sta?

Con tanti pesci e altrettanti pani

anch’io l’avrei compiuto, in verità!”.

L’indomani il prete al catechismo

corresse il miracolo sbagliato

e chiese con una punta d’umorismo

“Tu pure ci saresti arrivato?”.

“E come no! Con tutto il ben di Dio,

ch’era avanzato il giorno precedente,

il miracolo l’avrei fatto pur io”.

 

FUNERALE

Davanti al capezzale del morente

tre figli già pensavan al funerale.

“Dobbiamo fargli una funzion decente,

l’eredità che lascia è assai speciale.

direi di fare una funzion suntuosa.

“No caro. Basta un rito decoroso

che non sia eccelso e sia poco costoso.

A nostro padre il lusso non s’addice

 e solo l’umiltà lo fa felice”.

Il terzo figlio, dopo aver pensato:

“Facciam di terza classe un funerale,

con bara in legno compensato

e un mazzolin di fiori dozzinale.”

Dal letto si levò una voce fiacca:

“Figlioli, se mi date i pantaloni,

le scarpe, la camicia e la mia giacca,

 imiterò i semplici pedoni.

Senza rancore e senza alcun rimpianto,

solo me ne andrò al Camposanto”.

 

 

ULTIME VOLONTA’

“Orsù caro, io t’ascolto:

dimmi quel che vorrai fare?”

 “Voglio essere sepolto

proprio giù in fondo al mare.”

 “Ma perché marito mio,

vuoi per bara solo un’onda?”

 “Perché so che la tua madre,

 la mia suocera gioconda,

ha giurato di ballare

proprio sopra la mia tomba”.

 

COLLOQUIO ALL’ANAGRAFE

Un tal si presentò allo sportello

dell’Ufficio Comunal di Montebello.

“La carta mia d’identità

è scaduta giorni fa.

Debbo farne un’altra nuova”.

“Ha portato qui la vecchia?”.

” Come no? Eccola là!

– e, grattandosi un’orecchia,

disse: – Nonna, vieni qua”.

 

 

BALLE DI PESCATORI

Mentre stavan le reti a rammendare

nel paesino ligure di Celle

dei pescatori in vena di ciarlare

parlavan d’esche, pesci e prede belle.

“Io pesco pesci grossi solamente”

diceva un di lor esperto assai

ma un po’ sbruffone e alquanto strafottente.

“Peschi balene ?” chiese un tal ghignando.

“No”, serio gli rispose di rimando.

“Quand’esco in barca per la pesca

le balene le uso come esca”.

 

 

 

RICETTA

Davanti al commissario,

alquanto sconsolata,

sedeva una signora

assai preoccupata.

“Bene, ripeta ancora

com’è accaduto il fatto”.

“Stavo cuocendo al forno

un pollo tartufato

mi ci volea un contorno

cui non avea pensato.

Chiesi a mio marito

d’andar dai contadini

ed acquistar spedito

un chilo di lupini.

Un giorno è già passato

ma lui non è tornato,

per cui non so che fare”.

“Perché non può provare –

le disse il commissario,

che altro avea da fare –

di cucinar zucchini

al posto dei lupini?”.

 

  ALLARME AEREO

In un paese in guerra

suona l’allarme aereo

 e nei bunker sottoterra

tutti cercan d’andar.

Ma un vecchio torna indietro

con volto alquanto scuro.

“Sei matto! Dove vai?

“Scordato ho la dentiera

in fondo a una teiera”.

“Tra poco qui son guai –

disse un tal dal volto scuro. –

Che credi che stasera

butteran del pane duro?”.

 

VENDETTA

Espulso dalla scuola il buon Pierino

pensò di vendicarsi, il birichino

e di fronte alla scuola piantò ritta

una vistosa insegna con la scritta

“O AUTOMOBILISTI, STATE ATTENTI

DI QUI PASSANO SPESSO GLI STUDENTI.

NON INVESTITE I PARGOLI INDIFESI

CERCATE DI LASCIARLI ALMENO ILLESI.

MA SE PER CASO SIETE DEI MALDESTRI

ASPETTATE CHE CI SIANO ANCHE I MAESTRI”.

 

A SCOPPIO RITARDATO

Mentre meste risuonavano le note

della banda che seguiva il funerale

e il pianto che rigava molte gote,

dimostrazion di un dolor reale,

un tizio mescolato tra la gente

sbottò di colpo in una gran risata.

“Ma non le sembra alquanto sconveniente!”

lo redarguì con una gomitata

il suo vicino e aggiunse: “Là c’è un morto!

Sia serio e si dia una regolata.

Ognun di noi è dal dolor sconvolto

E non c’è posto per la sua risata.

Perché poi ride? É contro l’etichetta”.

“Iersera” disse il tipo ridanciano,

“qualcun mi raccontò una barzelletta.

Rimasi serio come un capo indiano,

non avendo compreso la battuta.

Sol ora l’ho capita e mi è piaciuta,

strappandomi di colpo la risata

che mi costringe a far questa scenata.”

“Ma là c’è il morto!”. “E che ci posso fare?

Domani verserò lacrime amare”.

Franca Longhi

Franca Longhi è nata e vive a Milano, con la sua famiglia.
Laureata con lode in Lettere Moderne, presso l’Università degli Studi di Milano, ha insegnato, per venticinque anni, lettere, in ruolo nella scuola secondaria di primo grado.
Per elaborare insieme ai ragazzi, nell’ambito scolastico, l’enorme potenziale linguistico, emotivo, comunicativo del linguaggio letterario in genere e di quello poetico in particolare, ha ideato e messo a punto il metodo ed il progetto didattico “Filastroccando”, concepiti come avvìo alla lettura, alla comprensione interiorizzata ed alla produzione personale di testi poetici, da parte di bambini delle scuole materne e primarie…

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Illustrazioni di Paolo Ragni

Cicompei è un bambino di sei anni
che, quando vuole, fa mille danni…
Cicompei ha pensieri originali e mossi
ed ha i capelli rossi, rossi, rossi…
Cicompei ha profondi occhi scuri, color verde,
così attenti e curiosi, che, a volte, ci si perde!
Se mi chiedi, ed hai ragione:
“ Ma perché questo strano nome? ”.
Ti spiego. Il nostro amico per dire :
“ Io vorrei…farei… andrei…”
per qualunque cosa, insomma, da piccolo, diceva:
“ CI-COM-PEI! ”.
La mamma? Cicompei!
La nanna? Cicompei!
La pappa? Cicompei!
La luna, un piede, vivere felici? Vorrei, vorrei, vorrei…
E’ Cicompei!

Così gli è rimasto questo nome misterioso,
che gli ricorda un periodo meraviglioso,
quando, da una stella, è arrivato sul nostro pianeta
senza mai vivere una giornata troppo quieta,
perché voleva capire, con grande curiosità,
che cos’è e come funziona la nostra realtà!
Cicompei osserva, con allegra meraviglia,
tutto ciò che accade nella sua famiglia
ed ama moltissimo, è cosa sicura,
giocare, correre, vivere nella natura.
Poi ha scoperto pian piano che, per vivere felici,
è bello avere tanti, tanti amici…
In tutte queste scoperte
gli piace farsi accompagnare
da chi legge le sue storie e lo sta ad ascoltare!
Se vuoi essergli amico, gli farai piacere
e lo seguirai nelle sue scoperte originali e vere,
che segnano l’incontro tra una persona e la realtà,
quando si è piccini, ma un po’ a tutte le età!
Tu come ti chiami?___________
Che cosa ti piace fare?________
Quanti anni hai?_____________
Dillo a Cicompei e un suo grande amico sarai!
Basta poco, ascoltare, raccontare,
volersi conoscere e incontrare…
E il vostro viaggio insieme
può senz’altro incominciare!!!

Illustrazioni di Paolo Ragni

Gli è sempre piaciuto
l’ha sognato, l’ha cresciuto
nei suoi sogni, notte e giorno,
senza mai toglierselo dalla testa e d’intorno.
Ha provato a convincere i suoi parenti,
ma non sembravano troppo contenti,
ha tentato con gli amici,
che non erano felici.
L’ha chiesto come regalo di compleanno,
ma gli hanno risposto: ” Non è un regalo, è un danno! ”.

L’ha richiesto come premio per la promozione
e gli hanno detto: ” Non insistere, o ti rispediamo a lezione! ”
Cicompei non sperava proprio di realizzare
il sogno su cui continuava a fantasticare,
quando un bel giorno, fuori dal portone,
la mamma ha trovato un bello scatolone
con un ospite d’eccezione!
Si trattava, non è difficile da capire
di un amico speciale, che ci fa intenerire
che si affeziona a noi, che è buono come il pane…
Si trattava, in sostanza, di un CANE!

Era un cagnetto bianco con il pelo folto
che a Cicompei piacque subito molto,
anche perché le macchie del suo mantello
erano rosse come i suoi capelli, che bello!
Cane e padroncino ben abbinati,
cane e padroncino subito abbracciati,
due compagni inseparabili e fidati
una coppia di giocherelloni affiatati!
“Un momento! – la mamma blocca i sogni –
sta facendo sullo zerbino i suoi bisogni! ”
“Ma è l’emozione!”- replica Cicompei –
vero, cagnone, che non capisci dove sei? ”
“ Posso tenerlo, mamma, posso, posso, posso? ”
supplica Cicompei,
mentre il cagnetto agita il pelo bianco e rosso.
“ E il veterinario? E la passeggiata?
E la pappa? Non basta una nidiata
di familiari da sfamare…
pure il cane mi doveva capitare! ”
La mamma brontola, ma, senza che possa spiegarlo,
si china piano per accarezzarlo
e il cane, che avverte la sua mano dolce e sicura,
scodinzola, e le si avvicina, senza nessuna paura.
E’ un secondo magico, l’alleanza è fatta
è scontenta solo Daniela, la gatta,
ma prima o poi si abituerà anche lei,
a vivere col cane di Cicompei!
Cicompei, è inutile da dire,
è felice da morire!
Grida, canta, corre e balla
e insegna subito al suo cane a giocare a palla!
Poi corrono insieme nel parco, felici
come due inseparabili amici,
e quando in famiglia si discute e si programma:
“Non è giusto che faccia tutto la mamma.
Gli animali domestici non sono pupazzi
creati per far divertire adulti e ragazzi.
Bisogna averne cura,
sono esseri viventi in miniatura! “
Chi gli farà da mangiare? Chi lo laverà?
Chi dal veterinario lo porterà? ”
Cicompei, si offre prontamente:
”Avete ragione! Parlate giustamente!
La vostra è una richiesta vera:
mi offro, lo farò giocare inverno, estate,
autunno e primavera! ”
“ Che sforzo! ” esclamano tutti in coro,
ma Cicompei non sente, è già al lavoro
e lo si vede in fondo al giardino,
che corre e ruzzola con BLUE, il suo adorato cagnolino.
“ Lo sapevamo! Che novità… era evidente!
Cicompei è specialista nel non fare un bel niente! “
Così, tutta insieme, sospira la famiglia
Ma subito sorride: Blue e Cicompei insieme,
sono una vera meraviglia!

Illustrazioni di Paolo Ragni

Oggi la neve cade dal cielo
e forma, morbida, un candido velo,
fiocco su fiocco, un vortice bianco
tutto ricopre, col suo splendido manto.

Dall’alto la neve osserva un bambino:
col naso per aria, piccino, piccino.
Dalla finestra della sua cameretta
osserva un fiocco, la forma perfetta,
la danza leggera,
di giorno e di sera.
La neve si “gasa” e fa evoluzioni:
svolazza, volteggia, senza imperfezioni.

Cicompei sta lì, è come incantato
sorpreso dal magico mondo creato
da questo miracolo, da questo prodigio
che scende inatteso, dal cielo bigio..

La neve, cadendo, suggerisce dei giochi,
vecchi come il mondo, ma che non son pochi:
le palle di neve, che son da lanciare,
pupazzi di neve, da realizzare,
con sciarpe, guanti e cappello da sfoggiare
e le corse e le orme, come in spiaggia col mare.

Cicompei gioca, gioca con i suoi amici,
sono spensierati e ridono felici
e felice è la neve, che mentre scende e fiocca
racconta a tutti la sua filastrocca.

“Sentite nel cuore, ascoltate bambini
che cosa regalo a tutti i piccini:
sorrisi, risate e tanto stupore
ed un senso profondo di pace nel cuore.

È questo il dono del mio biancore:
a chi sa osservare, a chi ha il bello nel cuore
io porto in dono allegria e buonumore!
Li porto dovunque, li porto a piene mani
ma solo a chi non pensa:
“Come andrà, in auto domani?”

Per questo gioiscono soprattutto i piccini
e quelli che nell’animo hanno ancora giardini!”
Ed ogni persona che ascolta il messaggio
Risponde: “Ritorna, neve! Ritorna anche a maggio!
Non a lungo, magari, giusto per un assaggio,
per quattro fiocchi e due scivolate
e poi… lascia pure il posto all’estate!”

© Longhi 2006.

Domenico Volpi

E’ nato e vive a Roma

Ha diretto dal 1948 al 1966 il settimanale per ragazzi “Il Vittorioso”.e nel 1977 redige la rivista mensile per bambini “ La Giostra” dell’edi9trice AVE di Roma.. Dal 1953 al 1981 ha presieduto la commissione “Presse et Littératuire Enfantile” del Bureau International Catholique de l’Enfance”…

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Voce del verbo andare.

Infinito presente.

Senza fine errare

per le vie del mondo

a portare

la voce del Verbo.

© D.Volpi 2006

Cara maestra, mi hai detto

che debbo essere un fratello

per tutti i bambini del mondo.

Ma non devi dirlo a me.

Devi dirlo al mio cervello

che deve inventare il domani.

Devi dirlo al mio cuore,

che deve imparare ad amare.

Devi dirlo alle mie mani

perché siano capaci di donare.

© D.Volpi 2006

Chi trova un amico trova un tesoro,

ma i miei amici non sono tutti d’oro.

Ne ho uno nero come il carbone,

uno giallo come un limone,

uno rosso come un mattone.

I miei amici sono tanti

ma non tutti sono brillanti.

Gli amici sono come fratelli,

però non sono tutti belli.

Io sono sicuro che

valgono molto per me.

Ma secondo la gente

non valgono niente.

Perciò sai che ti dico?

Io li regalo:

chi vuole un amico?

© D. Volpi 2006

Chi fa da sé fa per tre.
Non so se è vero che
chi fa da sé fa per tre
ma chi lavora in compagnia
fa le cose in allegria.

Pensa a te
“Domani e adesso,
pensa solo a te stesso!”
Così ti troverai, improvvisamente,
a pensare intensamente…
al niente.

I fatti tuoi
Impìcciati dei fatti tuoi,
se vuoi:
resterai serrato
in una casa senza porte
che odora di morte.
Sarai un isolato,
e il mondo ti passerà dinnanzi,
cantando le sue speranze.

Due mani
Si dice “Abbiamo due mani,
una per prendere e una per dare”.
Da domani, per provare,
usiamo le mani solo per dare.
Quel che dobbiamo ricevere
lo prenderemo tutto col cuore.

Fate la carità
Si dice “Fate la carità
e avrete tanta letizia”.
Ma al povero, che niente ha,
non basta la carità:
vuole la giustizia.

Tra il dire e il fare…
Tra il dire e il fare
c’è di mezzo il mare.
Chiamare qualcuno “fratello”
è bello, è molto bello:
questo è il dire.
Poi bisogna passare
il mare:il mare della coscienza
che non vuol capire,
il mare dell’indifferenza,
il mare della pigrizia,
il mare dell’inimicizia,
per approdare
alla riva del fare,
alla terra del dare.

© D.Volpi 2006

Gran Dio,
anch’io
ho preso un granchio:
non era un granché.

Bacco all’attacco:
colpo di tacco,
ma tiro fiacco.
Che smacco e scacco!
Perbacco!

Bacca bislacca
di ceralacca.
Bacca polacca.
Bacca che si stacca
e che si acciacca.
Bacca di cacca.
Perbacca!

Bacco e bacchette
che becchettano
un bacchettone
e che banchettano
con bacche e baccelli
di ceci e piselli.
Bacco e baccano,
ma piano piano.

Sardine sorde
s’ordinano
sistematicamente
in sordina.
Sardo sardonico
sul Sir Daria
s’ardisce
surrealmente.

Squallidi squali squinternati squassano squilibrate squadre squalificate squittendo squisitamente.

© D. Volpi 2006

Angela Donnini

Angela Donnini è nata a Castelnovo ne’ Monti (RE) il 3 giugno del 1946.

Laureata in Lettere Moderne (Universita’ degli Studi di Genova), vive con la famiglia a Genova, dove, dal 1976 al 2004 ha insegnato Italiano, Storia, Storia dell’Arte nella scuola media inferiore e superiore, presso l’Istituto “G. Leopardi” di Genova…

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Genere: Fiaba in prosa rimata

C’era una volta…una bambina di nome Nina; portava sempre un cappellino cinese di
paglia intrecciata, che amava più della limonata
.Il cappellino, a forma di cono, era leggero come un uccellino e aveva poteri come
quelli di mago Merlino.
Si racconta che un rumore una notte la svegliò. O forse..no?
Spaventata e con gli occhi spalancati come quelli di una civetta, Nina fece un salto
come una cavalletta.
Dopo un momento e un soffio di vento, guardò il suo cappellino di paglia intrecciata,
e fu così che rimase incantata.
IL cappello girava e ballava, rotolava giù e poi tornava su fino a toccare il soffitto blu.
All’improvviso il cappellino si fermò poi coraggioso contro il vetro si accostò; Nina
allora con due capriole arrivò alla finestra e lesta lesta prese il cappello e lo mise in testa.
-Meraviglia meravigliosa – bisbigliò la bambina con gli occhi da cinesina e il
pigiama rosa – poi, rivolta al cappello che la riparava come un ombrello, continuò –
Guarda, la luce del mattino fa un inchino e poi il buio si porta via. Oh, questa sì che è
vera magia!-
Così, mentre pronunciava queste parole prima del sorgere del Sole, Nina vide la
Nuvola Rosa, più bella di ogni cosa.
– La voglio, la voglio tutta per me – disse impettita e dritta come una matita.
E contò fino a tre.
Così il cappellino, che aveva poteri come quelli di Mago Merlino, esaudì il suo
desiderio. Il cappello, prima si rovesciò, usò un po’ di magia poi, preoccupato volò
nel cielo e la Nuvola portò via.
Nina afferrò la Nuvola e, con un grosso pennello la incollò sul vetro, poi con un
movimento veloce rimise in testa l’amico cappello. Soddisfatta si nascose in un
angolo della sua cameretta, dopo aver messo tra i capelli anche una molletta.
Da quell’ angolino Nina poteva ammirare il suo capolavoro: era prezioso come un
anello d’oro!
Intanto pian pianino il Sole faceva capolino e Aurora, la regina del mattino, si
preparava per mettersi in cammino. Tutti i giorni da quando il Mondo era stato creato
con il mare e anche il prato, la regina compiva gli stessi gesti: si specchiava nel cielo,
si aggiustava le pieghe del vestito e controllava se la frangetta era perfetta.
– Perdindirindina – piangendo, disse la regina – Mi manca qualcosa? Si, è la Nuvola
Rosa. Non posso partire senza il mio velo da sposa!-
La situazione si complicò e il cielo si rabbuiò fino a quando il cappellino di Nina
decise di aggiustare quel pasticcio più spinoso di un riccio.
Presto Nina – disse il cappello a forma d’ombrello – dobbiamo agire subito. Il Mondo
non sarà più la stessa cosa senza la Nuvola Rosa.-
Mentre diceva queste parole, il cappellino di paglia intrecciata spinse Nina fuori dal
suo angolino, poi le fece fare una scivolata, morbida come panna montata.
– Ohh, oih che botta! Sei impazzito citrullo rinsecchito?- gridò la bambina al
cappello, mentre si fermava vicino ai suoi giocattoli.
Dal punto in cui era arrivata, Nina poteva ammirare la Nuvola incollata,ma al di là di
questo sentì il buio sghignazzare.
Spaventata capì allora cosa doveva fare.
Scelse tra i pupazzi quelli più coraggiosi: il coniglietto, il panda, la scimmietta e il
koala, poi li sistemò dentro un razzo bianco e azzurro. In alto, al comando e vicino
alla punta della macchina spaziale mise Zefferino, il suo cagnolino furbetto e
prediletto. Decisa Nina continuò nel suo piano d’azione: si accostò alla finestra e dal
vetro staccò la Nuvola Rosa poi con cura la piegò e ripiegò e in fine la depose
dentro una scatolina.
– Mentre consegnava all’amico Zefferino la scatolina color arancione, la bambina gli disse –Stai attento testone, devi compiere un’importante missione: la Nuvola Rosa
deve ritornare al suo posto –
I pupazzi di Nina erano tutti sul razzo e il prezioso contenuto della scatola al
sicuro, quando il cappellino di paglia intrecciata sfiorò il motore della macchina
spaziale; allora questa con gran rumore sfrecciò nel cielo verso Aurora, che come
ogni sposa aspettava il suo velo rosa.

Passò del tempo… poi fu per caso oppure…mah! E chi lo sa?

Un giorno Nina con l’inseparabile cappello a forma di cono incontrò un bambino

eschimese e uno senegalese, poi uno indiano con uno italiano, uno inglese con una

bimba giapponese e ancora uno australiano con un amico brasiliano.

– Teniamoci per mano – propose Nina – così giochiamo!-

Era mattino e Aurora, che stava andando per il suo solito cammino, vide i bambini e si

sentì felice, così decise di sussurrare un segreto al vento che passava di lì.

Allora il vento soffio’ e la Nuvola Rosa trasporto’

Il vento soffiò e i bambini solleticò.

Nina riconobbe il velo da sposa

Il vento soffiò.

Poi come ogni cosa

Sparì la Nuvola Rosa………

Ada Bottini

Nata e residente a Rapallo. Il lavoro d’insegnante le ha suggerito spunti per scrivere racconti per l’infanzia, dove i dolori e le esperienze difficili della vita hanno trovato largo spazio e dove l’ironia mitiga e sdrammatizza l’amara realtà. Le poesie sono un percorso di autoconoscenza e l’espressione dei vissuti più profondi.

Pubblicazioni:

Un mare… di parole. Edizione Compagnia dei Librai, Genova, 1995; Inventabimbi, Edizione Compagni dei librai, Genova, 1997; Orcobaleno e compagnia bella, Edizione Compagnia dei Librai, Genova, 2003

Premi:

Il Primario, 1° premio Arqua Tetrarca, 1994, sezione racconto; Un mare … di parol,e 1° premio Vivere il mare Santa Margherita Ligure, 1996; Arcobaleno, !° premio Zaccaria Neuroni, 2003; “ La mia guerra, 1° premio Cara Pace ti scrivo, 2005 oltre a varie segnalazioni e premi speciali per le poesie inedite.

Il gattino

Mucci, il gattino, nacque sul greto di un fiume. Nei suoi primi mesi di vita conobbe il gelo, la ruvidezza delle pietre, il calore dei raggi di sole, l’appetito vorace dei gabbiani, lo starnazzare delle anitre, il volo maestoso dell’airone. Poco cibo, molta paura. Finché un giorno un pallone cadde nel torrente vicino al cespuglio dove lui viveva e un bambino arrivò a recuperarlo.

Il bambino e il gatto si guardarono negli occhi e fu amore a prima vista. Non fu difficile convincere la mamma ad accogliere il gattino.

A Mucci sembrava di essere finito in paradiso. Tepore, cibo, carezze, il cuscino molle sul divano che lo accoglieva come una culla. Lì si abbandonava a sonni interminabili e se un sogno di gabbiani in picchiata, pietre ruvide, pancia vuota appariva a ricordargli la sua vita precedente, si stiracchiava , si avvicinava alle gambe di qualcuno e vi si strofinava contro facendo le fusa, finché, rassicurato, ritornava a dormire sul cuscino.

La storia della rana

L’inverno era stato lungo, fangoso e freddo. La tana della rana, scavata con cura tra i cespi di trevigiana, era stata un buon rifugio, ma ora la rana Giannina aveva voglia di aria e di sole, non troppo ma abbastanza per intiepidire la pelle e i muscoli rigidi per la lunga immobilità. Mentre si godeva l’aria aperta e si guardava intorno in cerca di una sostanziosa colazione un’ombra oscurò la luce e lei sentì il freddo della paura, sì aveva capito bene, era un giovane falco anche lui in giro per la colazione. Giannina radunò tutte le sue energie e spiccò un salto acrobatico verso il più grosso cespo di di insalata piombandoci dentro. Rapida con le zampette si diede da fare per ricoprirsi ben bene di foglie e risultare invisibile all’affamato falco.

Rumore di passi, voci di donne, lo stridio di un coltello contro la dura radice dell’insalata.

Addio libertà, sono stata presa, sono condannata pensò Giannina senza avere il coraggio di muoversi.

L’insalata fu sfogliata e man mano che le mani della donna si avvicinavano al centro Giannina si preparava a fuggire. Ecco il momento è giunto una gran salto, un urlo bestiale , foglie che svolazzano per la cucina, non so dirvi chi ebbe più paura se la donna o Giannina che corse a rifugiarsi sotto un mobile.

La scopa risolse il problema facendo volare Giannina fuori dalla finestra pronta per una nuova avventura.

La storia del vitello

Bubu era nato quasi d’estate e da subito fu afflitto da una potente sete.

Il latte di mamma mucca non gli bastava ed era attirato dal ruscello che scorreva in fondo al pendio, un po’ lontano dal pascolo. I primi giorni le sue zampe erano ancora troppo deboli e inesperte per la discesa e la risalita, ma osservando i compagni più grandi ben presto imparò il sentiero, si unì a loro e poté bearsi dell’acqua fresca che generosa scorreva a valle dalla sorgente.

Bubu non capiva la pigrizia dei grandi che stavano anche un’intera giornata senza scendere all’acqua. La mamma lo rimproverava per questa mania di passare le giornate al ruscello e gli diceva che l’acqua attira tutti la biscia e la rana, la vipera e l’orso e che prima o poi avrebbe potuto fare cattivi incontri.

Chissà come le mamme hanno sempre ragione.

Un giorno, mentre brucava l’erba fresca delle sponde, Bubu sentì un odore pungente e subito dopo un verso selvaggio mai udito prima. Non lo conosceva, ma capì subito di essere in pericolo, non ci fu bisogno di presentazioni per sapere che quell’essere dondolante era un orso. Le zampe sagge cominciarono a correre su per la salita, il fiato corto, il cuore impazzito.

Per fortuna quel giorno l’orso aveva più sete che fame.

La storia del Topino

Noi topini non siamo come i bambini, che da piccoli mangiano i formaggini molli, quelli fusi, dicono, che se vedessero come sono fabbricati non li comprerebbero mai.

Noi mangiamo di tutto a dire la verità anche il sughero, ma se potessi scegliere da un menù io mi prenderei un bel pezzo di grana stagionato oppure una fetta di quel sardo che lo incontri col naso venti metri prima di vederlo.

Nella cantina dove abito io, i padroni tengono al fresco anche certe provviste, oltre all’olio e al vino.

Ma accidenti qua sotto ci finiscono solo le scatole dei formaggini. Io all’inizio non le ho mai toccate, un po’ per educazione e un po’ perché, come ho già detto, i formaggini non mi piacciono, però, quando la fame si fa sentire e il freddo ti intirizzisce, va bene tutto o quasi e una notte ho pasteggiato a cartone, quello della scatola, e formaggio.

Non voglio scendere in particolari sgradevoli, ma da quella notte ho preso una decisione: mi trasferisco, cambio cantina. Chissà, magari avrò la fortuna di incontrare altri tipi di provviste, io non disdegno le patate ad esempio anche crude, ma i formaggini no, mai più.

Buon appetito a tutti.

La storia della biscia

Anche le bisce sognano.

Tilly, appena nata, già guardava con interesse le mucche camminare, i conigli saltare, gli uccelli volare e chiedeva ai suoi simili perché loro riuscissero solo a strisciare. Gli adulti le rispondevano che era stato stabilito così e di adeguarsi senza tante storie. Tilly accettò con fatica la sentenza e benché si fosse allenata a strisciare velocissima per sfuggire agli attacchi dei corvi e benché gradisse molto il solletico che l’erba di maggio tenera e non troppo alta le faceva intorno al corpo ogni notte , prima di addormentarsi immaginava di saper volare o camminare.

Una notte sognò davvero di volare alta nel cielo e di vedere il bosco, il lago, il prato dall’alto. Tutto appariva diverso e lei era felice, felice e avrebbe voluto sognare per tutta la vita.

Al mattino senza neanche fare colazione si arrampicò in alto su un albero e giunta in cima pensò che se si fosse buttata giù avrebbe volato come durante la notte. Vi lascio immaginare la botta.

Da quel giorno Tilly strisciò di giorno e sperò di sognare di notte

La storia del Coniglio

Lillo il coniglio è contento di essere nato vicino ad un campo di miglio. A lui piace questo cereale e soprattutto gli piace il periodo della maturazione delle spighe, momento in cui centinaia di uccelli invadono il campo primo dei contadini e si abbuffano, cantano, beccano i semi con ingordigia e gli fanno molta compagnia.

E’ allora che a lui piace saltare tra le piante e far volare via a ventaglio una famiglia di passeri, poi una corsa pazza scompigliando le spighe e un altro salto questa, volta sono le allodole a fuggire spaventate. Che sciocche non capiscono che Lillo sta solo giocando e non mangerebbe mai un’allodola, anzi anche lui, come loro, mangia il miglio e perciò ha un pelo particolarmente liscio e morbido.

Salta che ti salta senza prudenza una volta Lillo è atterrato quasi sul naso di una volpe, che per lo spavento ha fatto un passo indietro, ma vedendo il bel coniglietto tenero tenero si è subito leccata i baffi. Per fortuna Lillo è ben allenato al movimento e in un battibaleno si è voltato ed è corso via alla velocità della luce rintanandosi nel primo buco disponibile dove ha trovato una sua zia che lo ha accolto e consolato, mentre la volpe stanca di rincorrerlo si è accontentata delle uova di un nido di allodole.

La storia di Ninetto

Ninetto è un tipo molto goloso.

Non di insalata, non di frutta, non di minestre, né di brodi e neppure di pesce o di carne.

Cosa mangia allora? Salame, patate fritte, dolci, cioccolata e, quando va bene, qualche uovo.

Però ha anche una strana abitudine, cioè quella di razziare orti e frutteti, quindi a maggio, se capita in un orto coltivato a fave e piselli, si siede tra i filari, stacca le teche e mangia senza misure quei legumi che, cucinati a casa, non si degna di assaggiare.

Lo stesso accade ad agosto coi fichi e a settembre con l’uva. Mangia solo se trova l’albero o la vite con i frutti pronti, freschi e maturi.

Strano ragazzo!
Ora capirete perché Ninetto corre al gabinetto.

Acqua, acqua per il fuoco

acqua, acqua per il gioco

acqua, acqua per la sete

acqua, acqua per l’abete.

acqua, sole, bosco, mare.

La vita è bella.

Il mondo è da amare.

Genere: nonsense

Nacque ad Acqui

in anni lontani

un subacqueo di nome Viviani.

Nacque in tuta, pinne ed occhiali

ma senza ahimé i marini fondali.

La sua vita passò in una vasca

sotto l’acqua e la schiuma in burrasca.

Pescò spugne, saponi e capelli:

così trascorse i suoi anni più belli.

Genere: nonsense

Una volta c’era un sarto

che ogni giorno faceva un salto

e vendeva vestiti in saldo…..

Li vendeva per un soldo..

a un signore che era sordo…..

e ogni giorno mangiava un tordo..

cucinato sopra il …bordo

di un fornello tutto …lordo..

Questo faceva il signore sordo.

© A. Bottini 2006


Genere: nonsense

Il signore Spicchio d’aglio,

con la moglie e con il figlio,

se ne stava sotto un tiglio

tra gli olezzi d’un bel giglio,

ma ecco un insetto senza paura

gli s’avvicina e gli fa una puntura.

Il signore Spicchio d’aglio,

con la moglie e con il figlio,

s’alza, agita le braccia,

tutto rosso sulla faccia

per la rabbia e la puntura.

Se lo piglio, lo taglio, lo taglio.

Se lo piglio, ne faccio poltiglia.

Se lo piglio, lo metto in bottiglia.

Se lo piglio…

Intanto l’insetto dall’alto lo guarda.

Poi prende la mira

e di nuovo lo infilza.

Il signor Spicchio d’aglio,

con la moglie ed il figlio,

lascia il tiglio, lascia il giglio.

Mesto mesto torna a casa

.tra patate e cipolline

a sognar le pratoline

 

Genere: filastrocca

A E I O U

Impararle è una virtù.

Ma se proprio non ci riesci

lo farai quando cresci

U O I E A

Il mio micio non le sa

imparare non le vuole

non gli garban le parole

E I A U O

Quasi quasi già le so

la lucertola dell’orto

non le dice e mi fa un torto

O U A I E

Io le so anche per te,

per la pecora del prato

che sta zitta o fa un belato.

A E O U I

Che bel gioco è questo qui

Solo i bimbi lo san fare

e gli altri stan a guardare.

© A.Bottini 2006

Genere: racconto

C’era una volta un bimbo grandino

che a dire il vero studiava pochino

E quando la mamma lo richiamava

Lui di rimando le brontolava.

Per non studiare trovava ogni scusa.

Se lo sgridavan faceva le fusa.

Mal il babbo, un giorno, assai spazientito,

lo minacciò. E alzando un dito.

– Bene, benissimo, avevo un bambino

ed ora invece mi trovo un gattino.

Ecco la coda, i baffi, gli artigli.

A un bel micino ti proprio assomigli.

Or non ti occorre né sedia, né letto:

vai a dormire sopra quel tetto.

– No, paparino, perdono, perdono

vedrai che da oggi sarò sempre più buono

Ogni giorno leggerò

e ogni cosa imparerò.

Così finisce la storiella

Breve, breve, bella bella

Per i bimbi un po’ monelli

Che per studiare fan castelli.

© A. Bottini 2006

Se ancora non ci fossimo accorti

della luce calante

delle sere incalzanti

delle piogge frequenti

le pere sulla tavola

annunciano senza incertezze

l’autunno incombente.

© Bada 2006

Vorrei essere un delfino
ridere degli squali
e salvare un bambino.

Balzare a pancia all’aria
verso l’azzurro
e ripiombar di schiena
in un mare di burro.

Scorazzare nel blu
in cerca di tesori
e di colpo ogni tanto
saltare fuori

a spaventar gli innamorati
spersi su una barchetta
dimentichi dei pirati.

© Bada 200

Mi ha scosso la tua morte

fratello sconosciuto.

Ti ho aiutato?

Se non ricordo

poco ti ho dato

niente ti ho detto.

Io così ricca di buoni sentimenti

e di cattive azioni.

Ti chiedo perdono

e consapevolezza

ora che tu

povero Cristo

stai meglio di me.

© Bada 2006

Natale, magia dell’infanzia

perduta per strada.

Sonno, incenso, note alte

nei cori della Messa di mezzanotte.

La mano accogliente di mia madre

sulla salita dove il fiato

condensato in nuvole

non arrivava al cielo

a coprire stelle nitide e lucenti

© Bada 2006

Restare addormentati

in una mattina d’estate

soleggiata e calda

a lungo fantasticare

fresche , belle nuotate

e tuffi in compagnia

lentamente svegliarsi

un poco stirarsi

non aver premura

giocare con i pensieri

avere in mano il mio tempo

ecco cosa mi piace.

© Bada 2006

Gialle, oblique lacrime

piange l’albero

mentre si sveste

per affrontare il lutto invernale.

chissà se pensa già

alle gemme che lo

ammolliranno a primavera.

© Bada 2006

Tictic toctoc

Tapum tapum

Tictic toctoc

Tapum tapum.

Caro il mio treno zoppo

il tuo lato sinistro

ritma sui binari

un’aria sincopata

mentre arranchi con fatica

sul lieve pendio.

Da destra sale un cigolio

di ruote pigre

restie a farsi trascinare.

Il tuo lento andare

asimmetrico

assomiglia al mio percorso

irregolare

faticoso

ma costante.

© Bada 2006

Non confondere il profilo delle nuvole

con la cresta dei monti.

Non tra il rosa, l’indaco e l’arancio

soffici di vapore

dovrai vivere.

Tuoi saranno il grigio, il marrone

il verde della terra.

Sii forte come la roccia grigia

che resiste agli insulti

del mare, del vento, del gelo.

Essa cede sconfitta all’ingegno dell’uomo

che con sottili arnesi

dalla nascosta potenza

la buca, la fruga, la sfalda.

Tu non ferirla troppo.

Sii generoso

come il marrone della terra

che accoglie e trasforma

la morte in vita.

Da un piccolo seme

un verde germoglio.

Tu ammirala con stupore inesausto.

Rispetta i suoi cicli e i suoi doni.

Sii tenero

come il verde degli alberi

che offre bellezza e ristoro.

Impara a godere dell’ombra

in estate.

Osserva la vita

che trova rifugio tra rami

e fogliame

e quando ti sentirai

roccia terra albero

sarai uomo vero.

Allora riguarda

il profilo delle nuvole

e innalzati in sogni arditi

non temere di perderti

ritornerai più saldo e più vero.

© Bada 2006

Il cipresso rumoroso

alto, dritto e dignitoso

se ne sta sull’attenti

e con aria indifferente

ospita storni a sciami

che contendono i suoi rami.

Non teme il solletico

il cupo cipresso

pensoso, maestoso

accoglie e diffonde

il concerto serale

che dai suoi rami

al cielo sale.

© Bada 2006

Soli arancioni

contro un cielo verde

così festeggia autunno

il cachi.

Incurante delle tenebre

che avanzano

cattura il sole

e si veste di luce.

Fingo di credere

al messaggio

gli sorrido

e avanzo.

© Bada 2006

Stracci di lino

a trama grossa e rada

indossa il cielo stamattina

bianchi, dismessi

grembiuli da cucina.

Dissolta la fatica

resta un poco

qual Venere antica

celeste ed ignudo.

Poi vergognoso si veste

di piombo orlato di luce

ingrossa, s’abbassa

e tutto si copre.

Il vento a folate

fa posto alla luce

il grigio dissolve

e il cielo si copre

con metri di tulle

s’arriccia, si gonfia

s’atteggia da sposa.

Domani di certo

il corredo muterà

indovina che vestiti

indosserà.

© Bada 2006

Raccogli le foglie del platano

che ornano l’asfalto

o quelle testarde e tremule

ancora appese al ramo.

Forse non sanno che è giunto per loro

il tempo della fine

e dall’albero si devono staccare.

Sono belle vestite di rame

ancora intatte e rigide

come vecchie signore aristocratiche.

Fermati un attimo con loro

a giocare.

Su mille fogli imprimile

accostate sovrapposte

distanziate od opposte

mantieni il ricordo della loro bellezza

per farle vivere fino a primavera.

© Bada

Sotto un arancio

generoso di rami e foglie

la mia pelle si ristora

alla brezza dell’estate

melodiosi cinguettii

titillano le mie orecchie.

© Bada 2006

Dammi Voce

Dammi voce, mio Dio

per gridare il dolore dei sequestrati

dei bimbi abbandonati

degli emarginati

delle vittime tutte

del male dell’uomo

contro l’uomo.

Dammi voce alta e solenne

per esprimere indignazione

dammi voce forte e tenace

per chiedere giustizia

dammi voce umile e convincente

per supplicare conversione e perdono

per i loro aguzzini.

© Bada 2006